Il Tribunale di Milano, accogliendo il ricorso di un lavoratore per la declaratoria di nullità del licenziamento intimatogli entro l’anno dal matrimonio, si è pronunciato sul principio di parità di trattamento tra uomo e donna.
Il Giudice, preso atto che l’azienda non ha provato in giudizio l’esistenza di alcuna giusta causa di licenziamento tale da impedire la prosecuzione, pur provvisoria, del rapporto contrattuale, ha dichiarato in ogni caso estensibile, anche ai lavoratori uomini, la disposizione dell’art. 35 della Legge n. 198/2006 (Codice delle pari opportunità tra uomo e donna), norma che presume la nullità dei licenziamenti intimati alla lavoratrice entro un anno dalla celebrazione delle nozze.
Pur specificando che tale disciplina è ancora riservata alle donne – e ciò per espressa indicazione del testo letterale dell’art. 35 cit. che si riferisce alla sola “lavoratrice” -, il Giudice del Lavoro ha ritenuto necessario adeguarne l’interpretazione alla normativa europea e, in particolare, alla direttiva n. 76/207/CE, che ha introdotto il principio di parità tra uomo e donna.
Come auspicato – e deciso – nella pronuncia giudiziale, il contenuto dell’art. 35 dovrebbe essere ispirato ad una reale parità tra uomo e donna, non potendo l’utilizzo del femminile – un mero “retaggio del passato” (così in sentenza) – legittimare un trattamento discriminatorio fondato sul sesso.
Peraltro, aggiunge il provvedimento del Tribunale milanese, riconoscere una tutela profondamente differente fra uomo e donna in tema di licenziamento intimato per causa di matrimonio, risulterebbe in contrasto, oltre che con le direttive europee, anche con quel tessuto normativo nazionale che già prevede tutele omogenee dei lavoratori e delle lavoratrici. Si pensi, ad esempio, alle previsioni in tema di maternità/paternità e congedi parentali, che confermano la necessità di estendere la tutela in discorso anche ai lavoratori uomini.